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Storia del lavoro a tempo determinato: com’è cambiato e le ultime novità

Il Centro Studi Conflavoro elabora i dati relativi ai contratti a tempo determinato e analizza la circolare 9/2023

Il lavoro a tempo determinato è una tipologia di contratto di lavoro disciplinato dall’articolo 19 del Testo Unico sull’Occupazione (T.U.O.), approvato con il Decreto Legislativo n. 81 del 15 giugno 2015. La caratteristica principale di questo tipo di contratto è la sua temporaneità, cioè la fissazione di una data di inizio e una data di fine specifiche.

Questa tipologia contrattuale, per l’importante grado di flessibilità che offre, è una forma di impiego molto comune in Italia, spesso utilizzata dalle aziende per coprire necessità stagionali o progetti a breve termine.

I dati del contratto a tempo determinato

Benché il lavoro a tempo indeterminato si confermi, di anno in anno, la forma di rapporto di lavoro standard e più utilizzata, è doveroso richiamare i numeri dei contratti a tempo determinato per toccare con mano la rilevanza di tale tipologia contrattuale.

Da una rielaborazione dei dati ISTAT realizzata dal Centro Studi Conflavoro PMI in collaborazione con la dott.ssa Chiara Trifino dell’area Relazioni industriale dell’associazione, emerge quanto segue: nel primo trimestre 2023, il numero complessivo di contratti di lavoro attivati è stato pari a 18.241 di cui 15.377 a tempo indeterminato e 2.864 a tempo determinato. Con dei semplici calcoli, possiamo dimostrare che l’84,30% dei contratti risulta a tempo indeterminato e il restante 15,70% a tempo determinato.

Con riferimento al secondo semestre 2023 invece, il totale dei contratti di lavoro attivati è pari a 18.586 – in lieve aumento rispetto al trimestre precedente – di cui 15.505 a tempo indeterminato e 3.082 a tempo determinato. Nel periodo di riferimento, i contratti a tempo determinato – pari al 16,58% sul totale – risultato in aumento del 7,61% rispetto al trimestre precedentemente analizzato.

Evoluzione normativa in breve

Valutata l’importanza del lavoro a tempo determinato, è necessario adesso soffermarci brevemente sull’evoluzione storica dell’istituto. Da anni ormai, la materia lavoro è il tema di principale intervento dei vari Governi, con focus ricorrente sui contratti a tempo determinato. Questo perché tali contratti sono sottoposti a due forze contrapposte: la necessità di condizioni più flessibili per i datori di lavoro da una parte; l’esigenza di offrire condizioni di lavoro stabili per i lavoratori dall’altra.

Sulla base di quanto appena detto, il Centro Studi Conflavoro PMI presenta un riepilogo delle principali tappe dell’evoluzione normativa del tempo determinato.

  1. Anni ’60: limitazione della possibilità di assumere a termine mediante indicazione di apposite situazioni previste dal legislatore (Legge n. 230/1962). 
  2. Anni ’70-’80: maggiore flessibilità per il settore del turismo e del commercio in determinati periodi dell’anno con la Legge n. 876/1977 e successivamente il fenomeno del “garantismo flessibile” con la Legge n. 56/1987 che ha attribuito alla contrattazione collettiva il ruolo di controllore della flessibilità. 
  3. Anni 2000: maggiore flessibilità con il D.Lgs. n. 368/2001 che introduce il “causalone”, ovvero la possibilità di attivare contratti a termine a seguito della previsione, nel contratto individuale di lavoro, delle ragioni oggettive che legittimano la stipula del contratto stesso. Una liberalizzazione fin troppo azzardata che portò ad un incremento senza precedenti dei contenziosi.
  4. Riforma Fornero (Legge n. 92/2012): introduce il principio della a-causalità, ovvero la possibilità di stipulare il primo contratto a tempo determinato senza causale per massimo 12 mesi. 
  5. Decreto Dignità (D.L. 87/2018): riduce la durata massima del contratto a termine da 36 a 24 mesi, con la previsione di massimo 4 proroghe. Necessità di apporre una causale – trascorsi i primi 12 mesi o al primo rinnovo anche se la durata complessiva è inferiore ai 12 mesi – tra le seguenti: esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività; esigenze di sostituzione di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria. In mancanza di causale, il rapporto viene considerato a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi.

Il nuovo Decreto Lavoro e la Circolare n. 9/2023

Le modifiche introdotte dall’articolo 24 del D.L. Lavoro alla disciplina dei contratti a termine si inseriscono in una sorta di percorso ad ostacoli che, come abbiamo visto, nel corso degli ultimi decenni ha portato alla realizzazione di molteplici interventi in materia. 

Il Governo, con il D.L. n. 48/2023 ha mantenuto l’a-causalità fino a 12 mesi, ribadendo la necessità di selezionare una causale in caso di contratti di durata superiore e fino al limite massimo dei 24 mesi.

Il Decreto stabilisce le seguenti tre nuove causali:

«a) casi previsti dai contratti collettivi di cui all’articolo 51;

b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;

b-bis) sostituzione di altri lavoratori.».

Rispetto al passato, vengono soppresse le causali relative a “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” e “connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”. Presente invece la causale sostitutiva, che diventa però generica.

Rispetto alle causali di cui al punto a) e b), torna centrale il ruolo della contrattazione collettiva come strumento per la definizione delle causali giustificatrici del contratto a termine.

Interessante inoltre l’ulteriore previsione della lettera b), la quale prevede la facoltà di inserire una causale nel contratto individuale di lavoro per un periodo di tempo limitato, fino al 30 aprile 2024.

Sull’interpretazione della causale b bis) viene in soccorso la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 9 del 2023, la quale interviene a chiarire che resta onere del datore di lavoro precisare nel contratto le ragioni della sostituzione in modo concreto ed effettivo, ancor più se il datore intende accedere ai benefici previsti dalla legge nelle ipotesi di assunzione per causale “sostituzione”.

Il comma 1 bis del D.L. Lavoro, nonché la Circolare appena citata, specificano che il regime delle proroghe e dei rinnovi può realizzarsi liberamente e senza alcuna condizione nei primi 12 mesi di contratto, divenendo le stesse obbligatorie per i 12 mesi successivi.

L’intervento della Circolare risulta fondamentale per comprendere il comma 1 ter, il quale prevede la possibilità di stipulare ulteriori contratti a termine privi di causale per la durata massima di 12 mesi, senza computare la durata dei rapporti di lavoro già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore prima dell’entrata in vigore del D.L. Lavoro. La Circolare entra ancor più nello specifico chiarendo che, ai fini del conteggio dei 12 mesi di a-causalità, si considerano esclusivamente i contratti stipulati a decorrere dalla data del 5 maggio 2023, rientrando in tale accezione sia i rinnovi di precedenti contratti, sia le proroghe dei contratti già in essere.

Conclusioni

Conflavoro PMI è da sempre molto attenta al tema, in quanto sostenitrice di una necessaria flessibilità nelle forme di assunzione che dovrebbe essere strutturale per poter essere pienamente apprezzata ed utilizzata dalle imprese italiane, e non soggetta a frequenti variazioni più o meno impattanti.

Come associazione di categoria abbiamo preso parte all’Audizione tenutasi nel mese di maggio 2023 presso la 10° Commissione permanente, presentando le nostre opinioni e proposte in merito, ribadendo che i contratti a termine restano una forma di flessibilità imprescindibile per l’economia italiana, nonché un’ulteriore possibilità per i lavoratori di ottenere un impiego legittimo.

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