Breaking News Patto di prova, caratteristiche e fruizione – Il ConsuLente venerdì 12 Novembre 2021 Breaking News Ne Il ConsuLente odierno, un’analisi a 360 gradi del cosiddetto ‘Patto di prova’ Il patto di prova è un istituto giuridico del diritto italiano. Si tratta di un patto con cui le parti di un contratto di lavoro subordinato si vincolano ad un periodo sperimentale di lavoro al fine di consentire una miglior valutazione riguardo alla convenienza reciproca di un eventuale rapporto definitivo. Al patto di prova in un rapporto di lavoro sono tenuti sia il datore di lavoro che il prestatore di lavoro, i quali devono consentire e fare l’esperimento di esso. Fonte e caratteristiche Del patto di prova la fonte è l’art. 2096 del c.c., il quale precisa che per la sua definizione è richiesta la forma scritta ad substantiam. Il patto di prova non è obbligatorio nel caso in cui entrambe le parti optino per la sua omissione. Diversamente, in mancanza di forma scritta, esso non potrà essere eccepito da parte di uno dei contraenti, per cui si dovrà ritenere che il rapporto fiduciario si sia perfezionato senza necessità di esso. Durante il periodo di prova entrambe le parti possono recedere dal contratto liberamente, senza obbligo preavviso o d’indennità (cosiddetto recesso ad nutum), salvo l’eventuale limite minimo di durata, poiché è necessario consentire l’effettivo esperimento della prova. Una volta compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato (inteso come insieme dei diritti maturati dal lavoratore fino a quel momento) si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro. La durata minima del patto di prova viene normalmente stabilita dai contratti collettivi e normalmente ai fini del computo si considerano i giorni di effettiva prestazione. La durata massima invece viene implicitamente stabilita dal legislatore nella L 604/1966 (leggi qui). Nella norma si evidenzia che la disciplina del licenziamento si applica ai lavoratori in prova dal momento in cui l’assunzione sia definitiva e in ogni caso quando sono trascorsi 6 mesi dall’inizio del rapporto. Per gli impiegati non aventi funzioni direttive opera invece il RDL 1825/1924, che prevede una durata massima del periodo di prova di 3 mesi. La disciplina sopra riportata è da riferirsi esclusivamente alla forma contrattuale comune, che è quella del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Contratto a termine e di somministrazione Più complesso, da un punto di vista operativo, è disciplinare il periodo di prova in caso di contratto a termine, poiché in tal senso viene lasciata ampia libertà di negoziazione alle parti. Conseguentemente, laddove non intervenga la contrattazione collettiva, la clausola relativa alla prova potrà essere modulata con l’unico vincolo che non potrà superare il periodo pari a quella del rapporto di lavoro e non potrà essere fissata una durata superiore a quella prevista per il lavoratore qualificato, inquadrato al medesimo livello iniziale di assunzione. Una soluzione pratica, lasciata al buon senso delle parti, è quella di considerare la durata del periodo di prova in una percentuale ragionevole rispetto alla durata valevole per i rapporti a tempo indeterminato. Nel caso dei contratti di somministrazione, invece, i rapporti a tempo determinato (cd. “missioni”) sono disciplinati dettagliatamente dal relativo Contratto Collettivo della Somministrazione. Infine, da notare che l’accesso alla NASpI è consentito al lavoratore licenziato per mancato superamento del periodo di prova. Questo, però, solamente in caso di rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La tua crescita passa da una nostra sede Cerca la più vicina a te Tanti vantaggi in una tessera associativa Iscriviti ora Tanti vantaggi in una tessera associativa Iscriviti ora Scopri le altre nostre convenzioni Condizioni agevolate agli associati Conflavoro PMI Leggi tutto Offerta esclusiva dedicata Leggi tutto Nexi, l'innovazione dei pagamenti digitali in Italia Leggi tutto 30% di sconto sulle tariffe web Leggi tutto