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Come funzionano i contratti stagionali? Le 5 cose che il datore di lavoro deve sapere

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Le attività stagionali in Italia necessitano aggiornamenti anche nella loro individuazione. Nel frattempo ecco cosa c’è da sapere sulla normativa attuale, recentemente modificata

I contratti stagionali soprattutto durante l’estate registrano picchi molto alti, specie in un Paese a vocazione turistica come l’Italia, dove vi sono comunque altri settori trainanti stagionalmente, come commercio e agricoltura.

Spesso viene sollevata, tanto dalle aziende quanto dai lavoratori, la necessità di riformulare la normativa in merito alle occupazioni stagionali, in particolare dopo dieci anni di crisi che hanno mutato profondamente il mercato di numerosi settori merceologici un tempo attivi 365 giorni l’anno. E che adesso, però, arrancano e avrebbero perciò bisogno di tutele ormai differenti al passato.

 

I lavori stagionali? Normati 60 anni fa

Difatti a oggi anche i contratti collettivi individuano i lavori stagionali. Questo perché la normativa di riferimento è molto datata e si riferisce ancora al DPR 1525/1963, che individua 52 lavori a carattere stagionale. Va da sé, pertanto, che negli ultimi 60 anni qualcosa nell’economia e nel tessuto produttivo italiano sia mutato!

La normativa in merito, in ogni caso e da ultimo con il Decreto Dignità (Dl 87/2018 convertito con modificazioni in L 96/2018), ha avuto uno slancio di ‘flessibilità’ riguardo le attività stagionali, ai quali si può ricorrere in maniera più snella rispetto ai lavori a termine più ‘ordinari’.
 

Nessuna causale per il rinnovo

Il Dl Dignità prevede per il datore di lavoro la giustificazione, mediante causale, se si riassume coi cosiddetti rinnovi il lavoratore anche dopo 12 mesi di contratto. Queste causali possono verificarsi con:

Esigenze temporanee e oggettive estranee all’attività ordinaria dell’azienda ovvero sostitutive di altri dipendenti;
Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non preventivabili dell’attività ordinaria.

Le attività stagionali – ancora con riferimento alle 52 inserite nel DPR 1525/1963 e a quelle individuate dai Ccnl – sono escluse dalle causali.
 

Durata massima dei contratti stagionali

Nel Decreto Dignità, ancora con riferimento ai contratti a termine, essi si trasformano automaticamente a tempo indeterminato quando oltrepassano la soglia di durata dei 24 mesi. Tale limite, però, non si applica ai lavori stagionali. Oltretutto (risposta del ministero del Lavoro a interpello 15/2016) se tra azienda e dipendente sono intercorsi rapporti ‘ordinari’ e attività stagionali, queste ultime non si considerano nel limite dei 24 mesi.

I contratti stagionali sono inoltre esclusi anche da altri limiti numerici che invece influenzano il ricorso delle aziende ai contratti a tempo determinato. I contratti a termine, infatti, non possono eccedere il 20% dei contratti indeterminati in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione.

 

Lo Stop and go in un’azienda e diritto di precedenza

La disciplina del cosiddetto Stop and go è il periodo che trascorre tra rapporto cessato e nuovo rapporto di lavoro tra lo stesso lavoratore a termine e la stessa azienda. Lo Stop and go, pena la trasformazione da contratto a termine a indeterminato, deve durare:

Almeno 10 giorni effettivi (di calendario) se il primo rapporto di lavoro ha avuto durata pari o inferiore ai 6 mesi;
Almeno 20 giorni effettivi (di calendario) se il primo rapporto ha avuto durata superiore ai 6 mesi.

Nei cosiddetti lavori stagionali così individuati, invece, la disciplina dello Stop and go non trova applicazione. Inoltre il lavoratore assunto a termine per svolgere attività stagionali può esercitare il diritto di precedenza entro e non oltre 3 mesi dalla cessazione del rapporto. Tale diritto si estingue trascorso un anno dalla cessazione del contratto.
 

Nessun contributo addizionale

I contratti stagionali non sono neppure assoggettati all’applicazione del cosiddetto ‘contributo addizionale’ dell’1,40% destinato a finanziare l’indennità di disoccupazione Naspi. Contributo che il Decreto Dignità ha peraltro aumentato, per ogni rinnovo a termine, dello 0,5%.

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