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Calano le imprese artigiane, Conflavoro: “Sinergie per promuovere il vero Made in Italy”

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Diminuiscono le piccole imprese artigiane: è di -12.333 il saldo tra iscrizioni e cessazioni di impresa per le ditte individuali (-1,39%) a fine 2016, quasi 6mila in meno per le società di persone (-2,51%). Complessivamente, per l’artigianato il 2016 si è chiuso ancora con il segno ‘meno’ tra iscrizioni e cessazioni (-15.811 unità), anche se in miglioramento rispetto al 2015. 

E’ una delle notizie che emergono dall’analisi di Unioncamere e InfoCamere, condotta sulla base dei dati del registro delle imprese delle Camere di commercio relativi allo scorso anno. Se il processo di selezione dell’universo artigiano, innescato dalla crisi e reso evidente nel 2009, risulta ancora in atto, il quadro generale mostra comunque un significativo e progressivo rallentamento di questa dinamica negli ultimi quattro anni.

Le riduzioni più consistenti interessano soprattutto i due settori “forti”, in termini di numerosità di imprese, dell’artigianato: le costruzioni, che nel 2016 “perdono” oltre 10mila attività e la manifattura, che si riduce di quasi 5.500. Quasi 2mila in meno, poi, le imprese artigiane che operano nel Trasporto e magazzinaggio.

A livello territoriale, le uniche province con saldo positivo sono Milano (+300 imprese, +0,43%) e Bolzano (+26, +19%). Situazione invariata ad Imperia. Tutte le altre archiviano un 2016 con segno meno, con cali compresi tra il -0,12% di Grosseto e il -2,95% di Chieti.

I dati sono allarmanti nella provincia di Perugia: dal 2010 si sono chiuse poco meno di quattro imprese al giorno. In sette anni dal 2010  al 2016  hanno chiuso 9.859 imprese artigiane. A Napoli, nel 2016, hanno chiuso i battenti 2.2013 attività, a fronte di 1.916 nuove aperture con un saldo negativo di 287 Pmi (-0,99).
Ma a cosa è dovuta questa morìa del settore artigiano e, in particolare, questa incapacità di pianificare una strategia per uscire dalla crisi? La caduta dei consumi delle famiglie, dovuta tra l’altro proprio all’impossibilità  da parte delle imprese di far fronte agli investimenti dal momento che, tra mancanza di liquidità e costante aumento della pressione fiscale non sono in grado di pianificare una strategia d’impresa, ha relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale, come quella dell’artigianato, appunto.
Tra i motivi, la Cgia di Mestre segnala il calo di apprendisti e dunque di futuri artigiani: le piccole imprese e i micro-laboratori non ce la fanno a sopportare l’impiego di manodopera giovane, perché oppressi dalla crisi. E poi c’è il nodo cruciale della concorrenza sleale del “falso” Made in Italy. Molte aziende sono spinte a delocalizzare all’estero la maggior parte delle fasi lavorative del prodotto, limitando sul territorio solo le fasi di rifinitura e confezionamento.
Conflavoro Pmi, che sta battendo da qualche anno la strada per il rilancio del vero made in Italy, con il Marchio Unico Nazionale, in grado di garantire e attestare, in sostanza, l’italianità dell’intero processo produttivo, chiede che la questione torni ad essere prioritaria, con uno sforzo comune e una sinergia di intenti da parte della politica anche dei singoli territori, per potenziare a incrementare l’utilizzo di uno strumento che già esiste, di fronte al quale al momento si percepisce ancora forte disinteresse e miopia. Solo se tornerà ad essere fiore all’occhiello del vero made in Italy, l’artigianato potrà tornare a crescere e a costituire il valore aggiunto necessario alla ricostruzione del tessuto sociale.

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