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Etichettatura latte e derivati, levata di scudi da parte di Assolatte

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Per gli addetti al settore le tempistiche sono sbagliate e favoriscono i concorrenti esteri

 

A circa sei mesi di distanza dall’entrata in vigore della normativa italiana che prevede una tracciabilità chiara sull’origine dei prodotti lattiero-caseari, scoppia la polemica da parte degli addetti al settore rappresentati da Assolatte.

Da una parte, infatti, i lavoratori sono fermamente convinti sia necessaria, a favore del consumatore, un’etichettatura chiara, visibile e facilmente leggibile così come previsto da
l regolamento Ue n. 1169/2011. Dall’altra, però, pur avendo istituito una misura giusta, ritengono che l’Italia si sia messa in posizione di svantaggio rispetto al resto dell’Europa.

La legislazione in materia, infatti e paradossalmente, secondo gli addetti al settore è arrivata con tempistiche sbagliate. Troppo in anticipo, cioè, rispetto agli altri Paesi dell’Unione i quali ancora non si sono adeguati al regolamento Ue del 2011. Risultato?
I concorrenti esteri che commerciano prodotti lattiero-caseari possono farlo in Italia senza indicare nessuna origine.

Il
regolamento Ue n. 1169/2011 prevede che le etichette di questi prodotti indichino il nome del Paese in cui è stato munto il latte e quello in cui è stato condizionato o trasformato. Qualora il latte o il latte utilizzato come ingrediente sia stato munto, confezionato e trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con una sola dicitura.

“Siamo a favore della trasparenza e della corretta informazione di tutti i consumatori e per questo stiamo lavorando affinché l’origine in etichetta diventi un obbligo europeo. Per questa ragione – ha affermato all’Ansa Giovanni Ambrosi, presidente Assolatte – abbiamo forti perplessità sulla normativa italiana che ha introdotto l’indicazione dell’origine del latte in etichetta, una fuga in avanti che mette a dura prova la competitività delle aziende italiane e rischia di confondere i consumatori”.

“Il quadro è ancor più sconcertante – ha aggiunto Ambrosi – se si guardano le tempistiche e le modalità di uscita della norma. Il decreto è apparso fin da subito poco chiaro ed è stato necessario pubblicare diverse circolari interpretative che non hanno sciolto tutte le riserve. Le aziende hanno avuto solo tre mesi di tempo per adeguare le confezioni: un tempo troppo breve per smaltire i prodotti in magazzino che ha portato a un aumento sensibile degli sprechi. La proliferazione di iniziative nazionali circa la regolamentazione dell’etichettatura di origine sta diventando deleteria per il mercato unico europeo. Bisogna fare squadra con le istituzioni nazionali e comunitarie per far sì che si arrivi presto ad una normativa armonizzata”.

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